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I santi siamo noi. Elogio dell’imperfezione nell’opera di El Greco

di Teresa Lanna.

I santi siamo noi. Elogio dell'imperfezione nell'opera di El Greco

«La luce del sole disturba la mia luce interiore»: è una delle poche frasi che si possono attribuire con certezza ad El Greco e che danno l’idea del carattere tutt’altro che facile di uno dei pittori più importanti del Rinascimento spagnolo, la cui spigolosità lo porterà a scontrarsi con varie personalità del suo tempo. Come le parole attribuitegli, anche le sue opere riflettono immediatamente la paternità del loro autore, e sono presto riconoscibili.

Le figure allungate, i chiaroscuri, i contrasti tra luce ed ombra, l’esagerazione dei tratti somatici ed anatomici, tradotta spesso in un antinaturalismo esasperato, la pennellata densa e “sporca”, sono tutte caratteristiche di un artista che, col suo incredibile talento, è riuscito, di fatto, a rendere umana la santità, dimostrando che una persona con l’aureola non è l’emblema della perfezione ma che, anche se tale sembrerebbe essere, è passata prima di tutto e comunque attraverso l’iter del peccato, condiviso da tutti i comuni mortali.

La formazione artistica di El Greco affonda le proprie radici in tre diverse culture figurative: in primis, nell’arte bizantina, ieratica e spirituale, che era ancora molto diffusa a Creta; inoltre, nell’arte italiana, che l’artista cretese ebbe modo di apprezzare durante i suoi viaggi a Venezia e a Roma e che nel Rinascimento raggiunse l’apice del suo splendore, traducendo la natura in termini figurativi. Infine, nella pittura spagnola, votata spesso all’introspezione.

L’artista diventa un interprete appassionato e originale dei valori della Controriforma, movimento con cui la Chiesa cattolica riafferma, a partire dalla fine del Cinquecento, l’importanza dei riti e dei dogmi tradizionali, la centralità della figura della Vergine e dell’esempio dei santi, ma anche la necessità di un rinnovamento morale e di un modo più autentico e severo di vivere la religiosità.

La pittura di El Greco subirà diverse trasformazioni, fino a raggiungere quello stile inconfondibile che lo contraddistingue da sempre. Le figure diventano allungate e slanciate in modo innaturale e le proporzioni tra i personaggi spesso non sono rispettate; riavvicinandosi alla tradizione bizantina, l’artista dipinge la scena in modo tale che lo spettatore possa cogliere immediatamente gli elementi centrali. L’uso dei colori, dalle sfumature forti ed inusuali (rosso sangue, giallo oro,…) caratterizza le figure più importanti, drammaticamente illuminate da colpi di luce ad effetto. Ciò che rimane sullo sfondo è dipinto in molteplici sfumature di grigio: tendente al bianco, al celeste, al metallico o al nero. El Greco rappresenta, così, cieli tempestosi ed ambientazioni cupe, in cui i corpi, nudi o rivestiti di ampi panneggi, appaiono come animate fiammelle che salgono simbolicamente verso il cielo. Si tratta di dipinti emozionanti e scenografici, ricchi d’immaginazione e sentimento religioso.

Domínikos Theotokópoulos (Δομήνικος Θεοτοκόπουλος) – questo il vero nome di El Greco – nasce nel 1541 nell’Isola di Creta, che all’epoca era sotto il dominio della Repubblica di Venezia, ma legata artisticamente alla tradizione bizantina. Il giovanissimo pittore, pur essendo a suo agio in quest’ambiente, decide di trasferirsi a Venezia, avvertendo l’esigenza di confrontarsi con le nuove correnti artistiche legate ai grandi pittori veneziani: Tiziano (di cui diventa uno degli ultimi discepoli), Veronese, Tintoretto e Jacopo Bassano. La scelta dell’Italia non è casuale, poiché vi lavorano alcuni tra i migliori artisti del tempo. Sotto il loro influsso, l’artista sceglie colori più intensi ed una pennellata libera, abbandonando, grazie alla prospettiva, la rigidità e la piattezza dello stile acquisito nella sua terra d’origine. Anche a Venezia, tuttavia, non riesce ad esprimersi come vorrebbe e ad ottenere le committenze sperate. Si trasferisce, quindi, a Roma, fino al 1567, per diventare un pittore occidentale, accantonando i tratti distintivi propri delle icone. È molto probabile che durante il viaggio si sia fermato a Parma per ammirare le opere di Correggio e Parmigianino; quest’ultimo, in particolare, molto noto per le sue figure lunghe e slanciate.

Il periodo romano sarà particolarmente importante per la formazione di El Greco. Quando giunge a Roma, nel 1570, infatti, l’artista cretese è ospite di uno dei più influenti mecenati dell’epoca, il cardinale Alessandro Farnese, attorno al quale gravita un attivissimo gruppo di intellettuali ed artisti che costituiscono una compagnia stimolante per il giovane pittore. A Roma, il confronto con i grandi pittori rinascimentali e manieristi porta l’artista a trasformare ulteriormente il suo stile, che diventa più scultoreo nell’uso del chiaroscuro.

El Greco – Incoronazione della Vergine, 1603 – 1605 Ca. Oil on canvas, 163 x 220 cm © Fundación Hospital Ntra. Sra. de la Caridad – Memoria Benéfica de Vega (FUNCAVE)

Originariamente ospitato a Palazzo Farnese, dopo due anni, in seguito ad un litigio, è quasi costretto ad aprirsi una propria bottega che ebbe discreto successo presso gli addetti ai lavori, senza, tuttavia, fargli ottenere incarichi prestigiosi. Lo conferma il fatto che, in quella che all’epoca era la Roma delle pale d’altare e dei grandi affreschi, El Greco pare non averne mai realizzato uno. A Venezia e poi a Roma, nello squisito ambiente dei Farnese, dove approfondisce la conoscenza della statuaria antica, avviene la prima trasformazione di El Greco, che diviene, così, pittore “alla maniera latina”, acquisendo uno stile caratterizzato dall’uso del colore e della macchia come base della pittura. Il suo soggiorno di circa sei anni a Roma, iniziato, come detto, nel 1570, non gli permette di ottenere il successo ambito, malgrado la fama raggiunta presso alcuni appassionati d’arte. Tuttavia, nel complesso ambiente artistico italiano, non riesce a trovare un mecenate, decidendo, così, di tentare fortuna in Spagna.

Si trasferisce, quindi, a Toledo nel 1577. Qui inizia a sviluppare il suo stile inconfondibile, caratterizzato da figure allungate, prospettive distorte e colori vibranti. Le sue opere, spesso devozionali, sono connotate da un’intensità emotiva e spirituale che le rende uniche ed affascinanti.

El Greco – Laocoonte, 1610 – 1614, Oli on canvas, 137 x 172 cm, National Gallery of Art Washington © Courtesy National Gallery of Art, Washington

El Greco è uno dei pittori più innovativi ed originali della sua epoca. Dipinge ritratti e quadri religiosi, interpretando con passione e devozione i principi affermati, alla fine del Cinquecento, dalla Controriforma cattolica.

A questo punto, il pittore cretese ha 36 anni e vanta un background artistico di tutto rispetto. Tuttavia, neanche in Spagna riesce ad affermarsi come avrebbe voluto; da una parte perché il suo stile, così particolare, era ritenuto troppo innovativo per i suoi contemporanei, che lo accusarono di essere un eccentrico ed un visionario; dall’altra, a causa del suo carattere tendenzialmente rissoso, che gli impedisce di diventare pittore alla corte di Filippo II; uno dei sogni che non riuscì mai a realizzare. Non mancano però i committenti, anche facoltosi, che gli consentono di raggiungere una certa fama ed un alto tenore di vita.

A Toledo, infatti, ebbe comunque la fortuna di trovare amici e fedeli clienti che gli affidarono grandi commissioni, come quella dell’Entierro del Señor de Orgaz, la cappella di San José o il santuario di Nuestra Señora de la Caridad a Illescas. Nello stesso tempo, crea una bottega, su modello delle botteghe veneziane, nella quale vengono realizzate alcune versioni delle sue opere più ricercate, come quelle di San Francesco oppure della Maddalena in lacrime.

Lontano da mode e correnti, a Toledo trova la calma necessaria per continuare ad elaborare un linguaggio sempre più personale, astratto e stravagante, che si nota in opere come il Laocoonte, che rimarrà l’unica creazione d’ispirazione mitologica dell’artista.

La commissione più pagata in assoluto, – lavoro interamente autografo e realizzato dal pittore negli anni 1596-1600 -, è quello che si riferisce all’Annunciazione, un quadro di grandi dimensioni destinato ad una maestosa pala d’altare (in spagnolo retablo), chiusa in una articolata cornice lignea, per il Colegio de Nuestra Señora de la Encarnación di Madrid. L’Annunciazione è una delle vette più alte dello stile finale dell’artista cretese; nell’opera, le forme allungate si intrecciano con una stesura veloce, quasi violenta, del colore, ed un horror vacui che lo porta a riempire ogni spazio della composizione. Si tratta di una tendenza anticlassica definita, in campo artistico, appunto, horror vacui (paura del vuoto inteso in senso metaforico come vuoto interiore).

Ci sono diversi aneddoti sulla struttura di questo retablo, che fu smembrato all’inizio dell’Ottocento. Secondo la tesi più attendibile, esso era costituito da sei grandi tele, alte mediamente tre metri. Dedicata alla Redenzione, l’opera era probabilmente su due livelli: in basso, l’Annunciazione era affiancata dall’Adorazione dei pastori e dal Battesimo di Cristo, mentre in alto si trovavano la Crocifissione, la Resurrezione e la Pentecoste e, probabilmente, un settimo dipinto, più piccolo, come conclusione. Nell’opera, le figure sono sproporzionate, allungate in verticale e non ci sono punti di riferimento. L’astrazione è tale che, senza la presenza del leggio in basso, non avremmo alcun punto di riferimento. La stesura del colore è veloce, quasi parossistica, ereditata dall’esperienza veneziana.  Perfino l’interpretazione del significato del dipinto è stato svelato molto tempo dopo la sua composizione. Al centro di questa nuova lettura dell’opera, c’è il roveto ardente, che è il simbolo della verginità di Maria; da ciò si evince che il momento che dà il significato centrale a questo quadro non è quello dell’annunciazione, bensì quello in cui Maria, turbata, indica il roveto ardente, e l’angelo le risponde che su di lei cadrà lo Spirito Santo. Ed ecco l’arrivo improvviso della Colomba che, emblematicamente, rappresenta lo spirito santo a cui Maria rivolge lo sguardo.

El Greco, in vita, non fu un artista popolare. Tuttavia, il suo stile fu riscoperto ed apprezzato nel XIX secolo e, ancora oggi, appare incredibilmente moderno, soprattutto per la stesura libera e fluida del colore e per i tratti fisici quasi abbozzati dei personaggi ritratti, realistici e, allo stesso tempo, sofferti ed espressivi.

Saranno le moderne avanguardie ad ispirarsi alle ultime opere di uno dei più grandi pittori del Rinascimento spagnolo, puntando i riflettori su quelli che, senza ombra di dubbio, sono e saranno sempre capolavori immortali.  Anche per pilastri indiscussi della storia dell’arte, come ad esempio Pablo Picasso, il quale affermerà che, se non avesse conosciuto lo stile di El Greco, non avrebbe mai dipinto Les demoiselles d’Avignon; una svolta che, senza l’esperienza maturata a Roma e a Venezia, certamente non ci sarebbe stata. Ecco perché, malgrado la fierezza del suo vero nome, il pittore porterà con orgoglio il soprannome “El Greco”, dal quale non si separerà mai e che, a dispetto di quanto si pensi, non è spagnolo ma deriva dal dialetto veneto.

El Greco – Jerónimo de Cevallos, 1613, Oil on canvas, 64 x 54 cm, Museo Nacional del Prado © Photographic Archive. Museo Nacional del Prado. Madrid

Alcune delle opere più famose di El Greco includono: Il Cristo risorto (1572); L’Adorazione dei Magi (1569-1570); San Girolamo nello studio (1595-1600); San Martino e il mendicante (1597-1599); Madonna col Bambino e Santa Martina e Sant’Agnese (1597); San Francesco d’Assisi e frate Leone meditano sulla morte (1600-1614 Ca.); Jerónimo de Cevallos (1613).

Alla sua morte, avvenuta il 7 aprile 1614, El Greco lascia un vasto inventario che conosciamo attraverso il figlio Jorge Manuel.

Diverse sono state le personalità del mondo dell’arte (e non solo) che hanno espresso il loro apprezzamento nei confronti dell’artista cretese.
Tra queste, il frate e teologo spagnolo Hortensio Félix Paravicino y Arteaga (1580-1633), che affermò: «Il suo genio eccezionale ammireranno, non imiteranno le età future».
Teresa Lanna

Immagine in evidenza
El Greco – Adorazione dei Magi, 1568-1569 ca., Oil on canvas, h 45 x 52 cm. Museo Lázaro Galdiano, Madrid © Museo Lázaro Galdiano, Madrid (part.)
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opere presenti nella mostra “El Greco”
(11 ottobre 2023 – 25 febbraio 2024)
A cura di Juan Antonio García Castro, Palma Martínez-Burgos García, Thomas Clement Salomon.
Palazzo Reale di Milano
piazza Duomo, 12, 20122 Milano
Courtesy: Ufficio stampa Comune di Milano